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Le xilografie nella Bibbia: un commento dilatato

Le xilografie collocate in apertura ai singoli libri di questa edizione della Bibbia di Gerusalemme, riprodotte da una Bibbia del 1606 stampata apud Iuntas a Venezia (e precisamente dalla terza edizione di questa, del 1625), stanno a evocare l’anti chità della tradizione di iconografia biblica nel cristianesimo occidentale. Dalle scene d’ispirazione vetero e neotestamentaria dipinte nelle catacombe alle mi niature dei codici medioevali, la fonte principale dell’arte sacra europea infatti è stata la Bibbia, e ancora biblici sono i programmi di alcuni tra i massimi capola vori rinascimentali: i rilievi della Porta del Paradiso ghibertiana, gli affreschi di Michelangelo per la volta della Sistina e quelli di Raffaello per le logge bramantesche in Vaticano. Con l’avvento del libro stampato nel secondo quattrocento, questa gloriosa tradizione, «adeguata» al nuovo mezzo tecnico, viene riproposta: si pensi, ad esempio, al corredo di xilografie della Bibbia in lingua volgare edita nel 1471 da Niccolò Malermi, sempre a Venezia. L’intenzione non è solo o principalmente quella di abbellire, bensì di aprire una finestra contemplativa, invitando il lettore a meditare il fascino di un personaggio o evento del relativo libro, secondo la logica articolata da sant’Agostino già nel V secolo.  Parlando della vita interiore dei credenti, il vescovo d’Ippona affermava che l’anima, «condotta a segni materiali delle realtà spirituali, e da questi poi verso le cose che i segni rappresentano (…) si rafforza nell’atto stesso di passare dagli uni alle altre (…) come la fiamma di una fiaccola che, muovendosi, arde sempre più intensamente» (Epistola 55,11 e 21). Nel caso delle xilografie qui riprodotte, frutto di una collaborazione tra due anonimi disegnatori di cultura tardo manieristica e almeno tre incisori, le immagini servono a dilatare un episodio o personaggio del relativo testo, evocandone la valenza poetica. Così la raffigurazione che apre il libro del Levitico non si sofferma sui dettagli delle norme rituali riportate nel testo, ma riassume l’intero Codice con un’immagine del colloquio tra l’Altissimo e Mosè sul monte, situando le «regole» all’interno dell’intenso rapporto personale tra Dio e l’uomo da lui scelto per condurre Israele verso la Terra promessa. Similmente, la xilografia che apre il libro della Sapienza insiste sull’accorata preghiera del giovane re Salomone davanti all’Altissimo, suggerendo ancora il rapporto personale con Dio come chiave ermeneutica fondamentale. Gli anonimi illustratori sanno anche scendere nei dettagli, come suggerisce la xilografia in apertura al libro di Giosuè: una complessa composizione di figure in movimento su uno sfondo architettonico a illustrazione della processione dei leviti portanti l’arca intorno alle mura di Gerico. Sanno anche abbinare più episodi di un unico racconto – come nella regina Ester che implora misericordia per il suo popolo dal re suo marito, mentre in secondo piano vediamo la folla impiccare Aman –, e sanno creare un senso di continuità temporale, come nell’immagine del buon Samaritano che apre la Prima lettera a Timòteo, dove in secondo piano, a sinistra, vediamo allontanarsi il levita e lo scriba, mentre in primo piano a destra il Samaritano versa l’olio della compassione sulle ferite del sofferente che, nudo e appoggiato al tronco d’un albero, allude visivamente a Cristo. A prescindere dall’interesse artistico delle xilografie, la scelta editoriale di includere queste immagini d’altri tempi in una nuova edizione della Bibbia va colta soprattutto in termini ecclesiali: i testi biblici, stilati all’interno di una tradizione comunitaria, devono essere letti infatti alla luce della tradizione. Così, all’inizio del terzo millennio, le stampe rinascimentali qui riprodotte (che incorporano elementi di tradizioni iconografiche ancora più antiche) ci ricordano che altri prima di noi hanno cercato Dio nelle pagine della Bibbia, trovando nella bellezza della sua Parola gioia, pace e salvezza.
Mons. Timothy Verdon

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